Ed eccoci finalmente giunti alla proclamazione del racconto vincitore, Canto di Halloween, inviato alla nostra redazione per il contest Sull’Orlo del Foglio da Fabio.
Speriamo con tutto il cuore che questa sfida vi sia piaciuta e ancora una volta vi ricordiamo che i racconti sono stati pubblicati senza nessun tipo di editing proprio per mostrare la trasparenza della nostra decisione.
Canto di Halloween
“Hai capito proprio bene, mia madre mi ha affidato Tommy per tutta la sera. Mi tocca accompagnarlo nel quartiere a fare dolcetto o scherzetto, quella roba lì” Abby guardò con disinteresse un gruppetto di ragazzini che correva sul marciapiede opposto. “Ma non poteva andarci con i suoi amici?” chiese Lea dall’altro lato del telefono. “No, purtroppo. Lui non ha molti amici” rispose Abby scrollando le spalle. “Che sfigato” commentò Lea ridendo. “Hey, non chiamarlo così, ok? È pur sempre il mio fratellino”
Tommy saltellava da una porta all’altra facendo ondeggiare il suo mantello nero. Se gli avessero chiesto da cosa fosse vestito, non avrebbe saputo rispondere con esattezza, ma a lui non sembrava importare granché. La sorella lo seguiva a qualche metro di distanza, col telefono appiccicato all’orecchio, intenta a rosicchiarsi le unghie o a disegnare semicerchi sull’asfalto con la punta consumata delle Vans grigie.
“Comunque sono quasi le dieci, mi sa che tra poco stacco e lo riaccompagno a casa”
“E poi cosa farai? Una calza all’uncinetto o un puzzle con tanto di lago e montagna riflessa?”
Abby un po’ se la prese per quel commento, ma la battuta era buona e rise di gusto. Vide Tommy bussare ad una casa di legno che un tempo doveva essere bianca, e che ora appariva quasi ocra, forse a causa dei vecchi lampioni stradali.
“No, stronza, starò un po’ al computer, vedrò qualche film, cose così”
“Un horror?”
“Ma quale horror. Io li odio gli horror, sono così scontati. Come Halloween, ti aspetti chissà cosa, e poi ti rifilano sempre le stesse caramelle da dieci centesimi. Una festa inutile”
Abby sentì la porta della casa chiudersi con uno scatto secco. “Guarda che non è solo Halloween. È la vita, baby” commentò Lea scimmiottando un tono cinematografico.
Ma Abby non rispose, o meglio, non prestò molta attenzione a ciò che Lea le disse. Si guardava intorno, con ansia crescente, nella speranza di scorgere Tommy e il suo mantello nero svolazzante. “Lea ti devo lasciare ok? Ci sentiamo più tardi” Chiuse la chiamata senza attendere una risposta.
“Tommy? Tommy dove sei?” cominciò a chiedere al vento. Di tanto in tanto si sentivano le urla divertite dei ragazzini provenire da strade parallele. Perth Lane, invece, era stranamente desolata in quel momento. Provò a chiamarlo col cellulare, ma stranamente non c’era campo.
“Eppure ho parlato al telefono con Lea fino a un minuto fa” pensò.
Si avvicinò alla casa ingiallita. Qualcosa di quell’edificio la turbava e, ora che ci rifletteva, le sembrava di non averlo mai visto prima. Si sforzò di ricordare chi ci abitasse, ma non ci riuscì. Non c’era un campanello, quindi diede tre colpi rapidi sul legno bucherellato della porta, dietro la quale spuntò, dopo qualche secondo, un’anziana signora. Aveva i capelli cotonati, bianchi, con qualche riflesso biondo qua e là. Il viso era rugoso ma ben tenuto, gli occhi erano socchiusi e castani e, quando sorrise, i denti erano tutti al loro posto.
“Ciao, cerchi anche tu qualche dolcetto? Non si è mai abbastanza grandi” disse pacatamente mentre con la mano attorcigliava le sfere colorate della collana che indossava. “Salve signora. No, a dire il vero cercavo mio fratello. Ha bussato qui prima, ma poi non l’ho più visto. Sa per caso dov’è andato?”
“Intendi quel ragazzino con il mantello nero e i capelli arruffati?”
“Sì, esatto, proprio lui” rispose Abby, sentendo che qualcosa si stava sciogliendo dentro il suo stomaco.
“Ma certo, è qui. Mi ha chiesto di poter utilizzare un attimo il bagno. Vuoi aspettarlo dentro?”
Abby si meravigliò che suo fratello avesse avuto il coraggio di chiedere ad una sconosciuta di andare nel suo bagno.
“No, non si preoccupi, lo aspetterò qui sull’uscio” disse.
“Come vuoi. Io lascio la porta aperta, casomai cambiassi idea”
La vecchietta si diresse con passo cadenzato verso l’interno, scomparendo dietro una delle porte. Abby sentì un brivido di freddo. L’aria si era fatta umida e una leggera pioggerellina cominciava a cadere sulle macchine parcheggiate in strada. Qualunque cosa avesse iniziato a sciogliersi dentro di lei, d’un tratto si indurì come fango al sole.
“Signora, le dispiace se vado a dare un’occhiata?” chiese mentre superò la soglia della casa.
“Prego, prego, il bagno è a sinistra, in fondo al corridoio” rispose una voce diversa da quella ascoltata prima, forse a causa delle pareti vecchie e ammuffite.
Abby cercò inutilmente un interruttore che potesse farle luce nel corridoio semibuio. Sfilò il telefonino dalla tasca ed accese la torcia, puntandola a un metro dai piedi. Una volta in fondo, notò una porta sulla sinistra con un’anatra di legno inchiodata al centro.
“Tommy, va tutto bene?” chiese mentre appoggiò la nocca dell’indice sulla porta.
Nessuno rispose. “Tommy, sei qui?”
Aprì la porta del bagno. Questa volta trovò un interruttore sulla destra, ma quando accese la luce, la stanza si rivelò vuota. Le chiazze marroni sul pavimento e sulle pareti le suggerirono che probabilmente nessuno metteva piede in quella stanza da anni. Chiuse la porta ed ebbe un sussulto.
L’anziana signora era apparsa a mezzo metro da lei ed esibiva un sorriso quasi innaturale.
“Va tutto bene, mia cara? Ho preparato altri biscotti, casomai avessi fame” disse addentandone uno.
“N-no grazie. Piuttosto, mio fratello qui non c’è”
“Ah no? Strano. Starà facendo un giro per la casa, oppure se ne sarà andato via” rispose sollevando impercettibilmente entrambe le sopracciglia. “O forse è nel seminterrato” aggiunse dopo una pausa.
Il cuore di Abby cominciò a saltellarle nello stomaco.
“Sto scherzando, non c’è nessun seminterrato qui, anche se ne ho sempre desiderato uno”
Lo scherzo non divertì Abby nemmeno un po’. C’era qualcosa di strano in quella signora che non riusciva a mettere bene a fuoco. Poi capì. I capelli, che sembravano soffici e compatti fino a qualche minuto prima, improvvisamente apparivano unti e diradati.
Abby sentì la paura arrampicarsi dentro di sé, ma Tommy era lì da qualche parte, e lei doveva riportarlo a casa sano e salvo. Pensò di chiamare suo padre, non avrebbe impiegato più di dieci minuti a piedi a raggiungerla. Il cellulare era ancora senza campo.
Come se avesse intuito i suoi pensieri, l’anziana signora le disse: “Se desideri fare una chiamata, c’è il telefono sul mobile in salotto. Non sarà mica un’interurbana, vero?” aggiunse sogghignando.
Abby aspettò che la vecchia scomparisse dal corridoio, e con passo leggero e svelto si diresse verso il telefono, uno di quelli con la rotella che oramai si vedono solo nei film in bianco e nero. Infilò l’indice nei fori del disco, componendo il numero di casa. Sentì un “bip” lungo un secondo, seguito da un altro “bip” della stessa lunghezza. Fortunatamente, pensò, la mamma non è al telefono con zia Rose. Dopo qualche secondo d’attesa, cominciò a saltellare sul posto per il nervosismo. “Forza, alzate quella cazzo di cornetta” disse a bassa voce. Poi si accorse che i suoni iniziavano a farsi lentamente più distanti, come se un riverbero intasasse la linea. Cominciò anche a passare più tempo tra un “bip” e l’altro, finché non ci fu un unico, lungo suono a segnalare che la chiamata era terminata.
Riagganciò la cornetta mentre il fiato cominciava ad accorciarsi. “Se esco di qui, posso correre fino alla casa dei Morrison, sono solo un paio di minuti” pensò. Nonostante si vergognasse della sua mancanza di coraggio, si convinse che chiedere aiuto era la cosa più giusta da fare in quella situazione. Si voltò verso la porta d’ingresso, ma si accorse che al suo posto c’era un muro con al centro un quadro di una natura più marcia che morta.
Si guardò intorno, notando che non c’erano né ingressi né finestre, e che la cosa non cambiò nemmeno quando si strofinò gli occhi per sicurezza.
Poi lo vide.
C’era Tommy, in cima alle scale semibuie della casa, che la osservava immobile. Nonostante fosse distante una decina di metri, Abby notò che i suoi occhi emettevano uno strano bagliore dorato, come fossero biglie di vetro attraversate dalla luce di una torcia.
“Tommy sei tu? Dai vieni giù, così ce ne andiamo a casa, ok?” gli disse con voce tremolante facendogli un cenno con la mano.
Tommy continuò a fissarla inerte, poi di colpo si voltò e sparì al piano di sopra, mentre il rumore dei suoi passi frettolosi si propagava attraverso il legno del soffitto. A
bby lo seguì, un gradino alla volta. Arrivata in cima alle scale, vide un corridoio poco illuminato. Aveva tre porte, due sul lato sinistro e una su quello destro, mentre in fondo vi era qualcosa, forse un mobile dalla forma strana, che Abby non riusciva a distinguere dalla penombra.
“Tommy! Vieni fuori che torniamo a casa. Non dirò nulla alla mamma, promesso” gridò Abby.
Solo in quel momento si accorse che la vecchia era sparita da un po’.
Aprì la prima porta sulla sinistra, entrando in una stanza vuota, illuminata da una vecchia lampadina a incandescenza che pendeva dal tetto. Si guardò intorno, cercando inutilmente armadi o bauli in cui suo fratello avrebbe potuto nascondersi. Quando fu al centro della stanza, la lampada cominciò a ronzare fino a spegnersi del tutto, lasciandola al buio. Tese l’orecchio, senza riuscire a percepire alcun suono se non quello del suo cuore impazzito. Qualcosa cominciò a sfiorarle prima i piedi, poi le caviglie. Afferrò il telefono facendosi luce con lo schermo, e ne notò il riflesso su delle piccole macchie nere brulicanti. Cominciò a muoversi, sentendo qualcosa scricchiolare sotto le suole delle scarpe e, presa dal panico, diede uno schiaffo in aria nel tentativo di far ripartire la vecchia lampadina.
La luce rischiarò di nuovo la stanza, mostrando ad Abby il pavimento ricoperto da scarafaggi neri che si addossavano l’uno all’altro, arrivando fino alle pareti. Iniziarono a fuggire impazziti, impauriti dalla luce, e alcuni di questi si ripararono sotto il jeans di Abby che iniziò a strillare e a dimenarsi. Corse verso la porta, chiudendosela dietro di sé con violenza. I formicolii cessarono di colpo e nulla venne fuori quando controllò sotto i vestiti.
“Tommy, dove sei” sussurrò singhiozzando dallo spavento.
“Te l’ho detto cara, si starà facendo un giro per la casa. E tu invece, ti stai divertendo? Ti è piaciuto il mio scherzetto?” La voce della vecchia echeggiò per il corridoio.
“Se gli hai fatto qualcosa, giuro che ti ammazzo, hai capito?!” le urlò contro Abby.
In risposta ci fu solo una risata lamentosa.
Aprì la seconda porta sulla destra. Anche questa era illuminata, ed era piena di esseri dalla pelle cadaverica che, immobili, riposavano l’uno a poca distanza dall’altro. Avevano lunghe ciocche di capelli, denti che sporgevano dalle bocche da cui sembrava fossero state recise le labbra, e occhi bianchi e nebbiosi che fissavano il vuoto. Ci fu uno scatto dietro di lei, e quando provò a girare la maniglia della porta, si accorse che era stata chiusa a chiave.
“Abby, cara Abby. Il tuo nome fa quasi rima con agorafobia, non trovi? No? Beh, non lo so, non sono mai stata brava con le rime” La voce della vecchia era così vicina che ad Abby sembrava provenisse direttamente dal punto più profondo del suo cervello.
“Ma certo, gli scarafaggi, i luoghi affollati, sta solo sfruttando le mie paure. Se è così, allora so cosa mi aspetta se esco viva da questa stanza” rifletté a bassa voce, temendo che la vecchia potesse ascoltare i suoi pensieri.
“Hai pensato a come uscire da qui? Forse non la vedi, ma dall’altra parte della stanza c’è una porta. È aperta, lo giuro” commentò la vecchia sghignazzando. “Però ti consiglio di non disturbare gli ospiti, potrebbero prenderla sul personale, potrebbero offendersi e, chissà, potrebbero perfino strapparti gli arti e mangiarti viva”
La voce scomparì.
Abby cominciò a strisciare tra i corpi inerti che popolavano la stanza, cercando di ignorare il panico che l’assaliva. Più o meno a metà strada, riuscì a vedere la porta di cui parlava la vecchia. Era aperta, e dava su un corridoio, forse uno diverso, forse lo stesso da cui era venuta. Le venne la tentazione di correre, ma le gambe le tremavano come budini, e un nodo alla gola le impediva di respirare. La testa cominciò a girarle così forte che fu difficile trattenere i conati di vomito.
Poi la paura vinse sulla paura stessa, e le gambe cominciarono da sole a mettersi una davanti all’altra in maniera sempre più veloce. Urtò inavvertitamente alcuni degli esseri immobili e sentì dei versi, simili ai latrati di un maiale sgozzato, e poi i passi che si accalcavano alle sue spalle. Riuscì ad evitare due dei mostri che le si pararono davanti, e per un istante si chiese quanto diavolo fosse grande quel posto. A un passo dalla porta, cominciò a sentire l’aria riempirle di nuovo i polmoni. Era quasi del tutto fuori dalla stanza quando qualcosa le afferrò la caviglia, facendola inciampare. Uno degli esseri la fissava con sguardo vitreo, intento ad affondare i denti aguzzi nella sua pelle rosa. D’istinto, Abby gli diede un calcio sulla faccia, poi un altro, fino a che la presa si allentò quanto bastasse per farla strisciare all’indietro verso il corridoio.
Appena fu interamente fuori, la porta si serrò di colpo, sigillando le urla dietro di sé. Abby restò lì, sdraiata sulle assi di legno impolverate, a prendere fiato con gli occhi chiusi.
Quando li riaprì, vide la vecchia, aggrappata al soffitto come un ragno. Sfoggiava un sorriso amaro, nervoso, che le attraversava la faccia come un taglio netto. I suoi capelli erano ancora più lunghi e unti, e adesso i denti, prima bianchi e immacolati, erano gialli e sparsi a casaccio.
“Ti è piaciuto il mio scherzetto? Spero di sì” disse agitando le dita con impazienza.
“Invece no, sei così banale, proprio come tutti i film horror di questo mondo” rispose Abby con un coraggio che la sorprese.
“Dici? Beh, c’è ancora una stanza, mia cara Abby. Ancora una stanza” disse lentamente la vecchia prima di strisciare di nuovo nell’ombra.
Abby si rialzò barcollando. La testa le girava ancora un po’, e avrebbe voluto infilarsi due dita in gola e svuotarsi di ogni paura, se solo avesse avuto il fegato di farlo. Si trascinò fino all’ultima porta rimasta. Poggiò la mano sul pomello, fermandosi per un istante a pensare e a prendere fiato, già sapendo cosa la aspettasse lì dentro.
“Andrà tutto bene Abby, andrà tutto bene” si ripeté.
Ma ciò che vide la sorprese. Nella stanza vi era una finestra da cui penetrava debolmente la luce della luna e sotto la finestra c’era Tommy di spalle, seduto sul pavimento con le braccia intorno alle gambe e la testa sollevata verso l’alto a fissare quel disco argenteo nel cielo. Abby si avvicinò a lui con cautela, temendo fosse un’altra delle trappole della vecchia. Ma più avanzava, più il cuore le si riscaldava. Era lui, Tommy, con il mantello nero e i capelli arruffati, oramai a un metro da lei.
“Tommy, mi hai fatto spaventare così tanto. Ora andiamo a casa, ti prego” disse abbracciandolo da dietro.
Ma il corpo di Tommy era gelido come il ghiaccio, e la testa gli si staccò di netto, rotolando sul pavimento. Abby urlò con tutto il fiato che aveva in petto. Stringeva ancora a sé il corpo di Tommy, ma non aveva più il coraggio di guardarlo.
“Che cosa gli hai fatto?! Io ti ammazzo, ti ammazzo!” gridò in direzione della stanza vuota, mentre le lacrime le rigavano le guance. “Ammazzami pure, allora” disse una voce più vicina di quanto Abby sperasse.
La vecchia era lì, tra le sue braccia. Gli occhi grandi, scavati nelle orbite, la fissavano, mentre il resto del corpo cominciava a decomporsi, cadendo a brandelli sul pavimento. Abby si staccò da lei impaurita, appiattendosi contro la parete.
“Ti è piaciuto il mio scherzetto? Ti aspettavi del sangue, vero? Perché niente ti terrorizza più della sua vista. E invece no, a quanto pare non ti conosci bene quanto ti conosco io” disse la vecchia ridendo sguaiatamente.
“Perché ci stai facendo tutto questo, noi non ti abbiamo fatto nulla”
“Non è corretto. Tommy non mi ha fatto nulla, ma tu sì” tuonò la vecchia, arrivando a sfiorare il soffitto. Abby non riuscì a capire se quell’essere si fosse improvvisamente ingigantito o se la casa si stesse rimpicciolendo. ”Tu hai osato dire, proprio sull’uscio di casa mia, che Halloween è una festa noiosa. Anzi no, inutile” aggiunse la vecchia scandendo le parole.
“E tu hai fatto tutto questo per ciò che ho detto?” chiese Abby incredula.
“Ti sembra poco?” rispose la vecchia innervosita. “Io sono uno dei tanti spiriti di Halloween. In questo giorno la gente crede di esorcizzare le paure, ma invece le alimenta, ed io me ne nutro affamata. E sai cosa mi sazia più di ogni cosa? Il terrore delle persone come te, che non credono nella paura. Ha un sapore quasi agrodolce, succoso come le larve di una mosca” Per un attimo una lingua annerita percorse le labbra decrepite della vecchia.
“Che ne hai fatto di Tommy” chiese Abby. “Tommy? Non è mai entrato qui. È a casa, sotto le lenzuola, a dormire sogni beati”
Abby sperò che quella fosse la verità, sebbene non riuscì a fidarsi del tutto.
“E cosa ne farai di me?”
“Mi hai già divertito abbastanza. Ti lascio andare, ma ad una condizione” disse la vecchia, sollevando un dito ossuto davanti al viso della ragazza.
“Quale?”
“Devi ammettere che Halloween è una ricorrenza spaventosa, e che io ti ho terrorizzata. Fallo, e ti lascerò andare”
Abby la guardò sconcertata. “Cosa? Tutto qua?!” La vecchia fece un cenno con la testa. “Sì, ammetto che hai saputo spaventarmi a morte, e non dirò mai più che Halloween è una festa noiosa” disse Abby cercando di risultare convincente. “Ora prometti che mi lascerai in pace?”
La vecchia le tese la mano, oramai quasi scheletrica. “Certo. Sono uno spirito di parola, io” rispose con tono solenne.
Abby le strinse la mano, o ciò che ne restava, e in quello stesso istante la vecchia scomparì. Si guardò rapidamente intorno, poi si rialzò, avvicinandosi alla porta e scrutando il corridoio. Era vuoto e, sebbene avesse comunque un’aria macabra, adesso appariva soltanto come un normale corridoio vuoto di una normale casa vuota.
Si precipitò verso le scale, scendendole rapidamente, e corse verso la porta d’ingresso, riapparsa lì dov’era quando era entrata in quel posto maledetto.
Per un attimo, con la coda dell’occhio, le parve di vedere la vecchia in piedi nella cucina muovere lentamente la mano in segno di saluto, ma non si fermò a controllare se ciò fosse soltanto una visione o meno. Quando fu in strada continuò a correre verso casa, inspirando l’aria gelida della notte come fosse acqua da bere.
Quando arrivò, i suoi genitori stavano quasi per andare a dormire. Le luci del salotto erano calde e c’era odore di arrosto e cannella.
“Abby, ma dove sei stata? Abbiamo provato a chiamarti ma il telefono rispondeva sempre occupato” disse la madre con apprensione.
“Scusa mamma, ma è stata una serata un po’ particolare. Tommy dov’è?”
“È a letto da un po’, è tornato da solo. Tuo padre si è arrabbiato molto per questo”
“Sì, lo so, avete ragione. Non succederà più, lo prometto” rispose Abby, abbracciando la madre e baciandola sulla guancia.
Corse in cameretta e le sembrò di essere riemersa dal fondo di un lago ghiacciato, quando vide la sagoma di Tommy dormire su un fianco. Si avvicinò con cautela, ancora impaurita dal ricordo di ciò che la vecchia l’aveva costretta a vivere. Gli accarezzò i capelli arruffati, la testa rimase al suo posto e Abby si sciolse in un pianto intenso.
Si prese un attimo per riprendersi, si asciugò le lacrime, si soffiò il naso, poi si infilò il pigiama e andò in bagno a lavarsi i denti. Lasciò la porta aperta e la luce del corridoio accesa, per sicurezza, ma la voce della madre che giungeva dal piano inferiore la rassicurava che fosse tutto finito.
“Che cazzo di giornata” pensò mentre si guardava allo specchio.
Quando sputò il dentifricio nel lavandino, notò più sangue del solito. Si passò un dito sulle gengive, che si colorò di un rosso vivido. La lingua si ricoprì d’un sapore metallico intenso. Continuò a sputare, ma l’emorragia cominciò a inondarle la bocca. Provò ad urlare aiuto, ma ne uscì solo un gorgoglìo. Il pigiama, su cui danzavano dei pinguini azzurri, era oramai ricoperto di macchie e schizzi.
Cominciò a vomitare sangue sul pavimento, scivolandoci sopra. E provò a battere il pugno sulla porta per richiamare l’attenzione dei genitori, ma oramai non riusciva più a respirare.
Fu soltanto il mattino seguente che il padre la ritrovò, con la faccia riversa in una pozza di sangue scuro su cui qualcuno, con un dito, aveva scritto una frase parzialmente illegibile che finiva con la parola “scherzetto”, seguita da un punto interrogativo.
Un racconto di: Fabio Grazie di cuore di aver partecipato all'iniziativa.
Se vi è piaciuto il racconto di Fabio, lasciate un commento così che possa saperlo. Detto questo vi aspettiamo la prossima settimana con la raccolta completa e a breve con i racconti del prossimo mese.
Molto bello questo racconto, l’ho apprezzato tantissimo ❤️
Mi fa veramente piacere ^^