Reroute (Deviazione) è un film del 2022 di Lawrence Fajardo presentato come premiere internazionale al Far East Film Festival. La pellicola filippina ricalca il tema della giovane coppia che si perde in una zona isolata; uno sconosciuto offre loro aiuto e li accoglie in casa. Ovviamente, come ben ci sia aspetta da un film del genere, le cose prenderanno una piega decisamente drammatica.
Reroute – Trama
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Reroute Far East Film Festival
Girato con un bianco e nero oppressivo come i boschi in cui è ambientato, Reroute è la variazione sul classico tema di una coppia che, dopo aver smarrito la strada, finisce nelle grinfie di un aguzzino. In questo caso i malcapitati sono Dan e Trina che si fermano nella proprietà del turpe Gemo. Non serve aggiungere che la situazione precipita in un crepaccio di violenza, follia e sexplotation!
Recensione
Il tema, come abbiamo preannunciato, non è innovativo. È anzi alla base di numerosi film del genere slasher. Luogo isolato, casa in mezzo al nulla e l’auto che ti abbandona proprio nel momento peggiore. E chiaramente l’errore madornale del cercare di prendere la famosa scorciatoia sinonimo di morte e/o atroce sofferenza. E del resto i protagonisti sono stati avvisati. Di lì sarebbe preferibile non passare, quella è proprietà privata. Ma se Trina prende seriamente l’avvertimento, Dan non è della stessa opinione. Armato di quell’arroganza tipica di chi considera il mondo intero alle proprie dipendenza. Chi dall’alto della sua mascolinità crede di avere sempre ragione e non lascia spazio a opinioni differenti dalle proprie.
Mascolinità tossica e predominanza
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Il tema della mascolinità tossica fa padrone in questa pellicola. Se Dan è un compagno arrogante e prepotente col cervello guidato dai ferormoni, non si può dire meno di Gemo. L’aperto contrasto fra i due ha sotto certi aspetti qualcosa di animalesco. E se Dan vede semplicemente messa in discussione la propria autorità, Gemo si trova a conti fatti a relazionarsi con una vera e propria invasione di territorio. Nonché nella posizione di dover rivendicare il possesso della sua “femmina” oltre che di quella appena arrivata.
E il termine femmina, per quanto detestabile, non è sbagliato perché le donne in quest’ottica sono un vero e proprio oggetto con la differenza che quantomeno Trina tiene a ribadire la propria identità di essere umano, istinto che manca completamente alla figura di Lala che è completamente succube alla figura del “marito”. Anzi ne è quasi assuefatta al punto da temere la perdita di quella sua posizione che qualunque persona sana di mente non vorrebbe assumere.
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Oltretutto, anche come figura paterna, Gemo risulta un padre padrone. Benché sia morta, sua figlia, nutre per lei un attaccamento morboso. Se l’intenzione dell’uomo potrebbe essere quella di difenderla da qualunque minaccia esterna, in realtà è molto probabile che la vera minaccia potesse essere rappresentata dall’uomo stesso.
Di santi e di demoni
Paradossale è anche come la componente religiosa prenda una certa parte all’interno del “nucleo familiare” che vive all’interno della piccola casa abbandonata.
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Gemo possiede infatti un altare votivo, con numerose figure di santi, angeli e madonne fra le quali poi spicca anche la foto della figlia perduta. Oltretutto, sulla sua schiena compare anche un tatuaggio che rappresenta il volto di Cristo. In realtà non è proprio un caso che personalità disturbate siano anche dei ferventi credenti. Soprattutto, aggiungeremo, quando questo viene associato al profondo maschilismo di cui abbiamo parlato poc’anzi. L’uomo, il patriarca, colui che porta avanti la famiglia, educatore e guida è un concetto che troviamo riportato più e più volte in contesti religiosi e che diciamolo ha dato anche materia a determinate teorie androcentriche.
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Ciò assume ancora un maggiore significato se si realizza che per contrappasso Lala ha tatuato un capo di capro convenzionalmente simbolo del demonio. E quindi per allegoria Eva, colei che cade agli intrighi del maligno e trascina il maschio verso la perdizione, la strega con i suoi inganni, la creatura da domare nel momento in cui ha perso ormai la sua innocenza venendo meno al volere del padre.
C’è una logica, lo so, potrebbe apparire non evidente, ma esiste e per scoprirla bisogna guardare il film fino all’ultima scena che no, assolutamente non ho alcuna intenzione di svelare.
Un bianco e nero disturbante
Il film è carico di scene disturbanti specialmente se lo si analizza da un punto di vista psicologico. C’è una volontà di annichilimento in questo genere di violenza che mette in risalto diverse realtà che sono anche reali e tangibili. La guerra stessa, Gemo è un reduce, che segna profondamente l’animo umano, la violenza intima e sessuale atta a prevaricare e schiacciare l’altro, il maschilismo di cui abbiamo parlato abbondantemente.
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Gli ambienti inoltre sono dispersivi, ci si trova nel mezzo di un grande nulla perfino la boscaglia non è abbastanza fitta da poter offrire un vero e proprio rifugio da un eventuale inseguitore. La solitudine perché ben presto ci si rende conto di non poter contare su nessuno, che non c’è nessun amico nelle vicinanze, nessuno nei paraggi disposto a offrire una mano, tutto l’opposto.
E il bianco e nero opprime, schiaccia e accentua ancora maggiormente questa atmosfera.
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